lunedì 19 settembre 2016
Eytan Mirsky - Funny Money (2016 / Mirsky Mouse Records)
martedì 22 marzo 2016
Jordan Andrew Jefferson "The Only Way Out Is In" (2015 / autoprodotto)
Non si sa molto di questo autore di Huntington, West Virginia. "Suono il piano e la chitarra e scrivo e canto canzoni d'amore per me stesso" - spiega sul proprio profilo Bandcamp - e il suo album è qualcosa di bellissimo e fuori tempo massimo come piace a noi. Jordan concepisce musica di retroguardia; un pop calato piedi e mani nella west coast degli anni '70 più profonda, così fuori moda che quasi fa tenerezza parlarne. Si parte con Ghost By The Water e già si sa dove si arriverà; una landa sonora dominata da America, Bread e Smokie; quel tipo di lite rock elegante nel suo intenso tepore promosso dalle AM radio di quarantacinque anni fa. Beyond Words è un tiepido mantra spaccacuore, mentre White Light potrebbe persino somigliare ai Cosmic Rough Riders più folkadelici, se in sede di composizione Daniel Wylie avesse al suo fianco Gerry Beckley. One Step At A Time alza i ritmi corroborata da rintocchi eighties, prima che Is What It Is traduca per i contemporanei i simboli del soul bianco di Carl Wilson nei Beach Boys della decade passata fuori classifica. Ma Jefferson dimostra d'essere un purosangue soprattutto durante la malinconica The Party's Over, perché il falsetto di cui è in possesso non lo regalano insieme all'ultima versione di Autotune e perché non è semplice sforare i cinque minuti inchiodando l'ascoltatore alla poltrona con un groppo in gola impossibile da cacciare via.
L'autore è un solitario, questo lo si intuisce: "The Only Way Out Is In" è stato suonato in quasi completa autonomia e questo dice molto, anche se non tutto, del suo talento sconfinato. Abbiate la pazienza di cercarlo e di ascoltarlo a lungo: non è un disco immediato, così come non è immediato l'uomo, ma una volta che lo avrete capito lo porterete con voi e non lo abbandonerete facilmente.
giovedì 17 marzo 2016
Frugando nei cassetti di George Martin.
E' passata una settimana dalla scomparsa di colui che probabilmente è stato il genio più grande nell'evoluzione della musica pop. La sua eredità resterà per sempre qualcosa di unico e frammenti di grandezza invaderanno la nostra memoria quando meno ce lo aspetteremo, nei secoli dei secoli. George Martin ovviamente non fu solo il visionario demiurgo nell'opopea dei Fab Four, ma sedette dietro alla consolle nelle più disparate registrazioni di album famosi e meno famosi.
Quello degli Stackridge - "The Man In The Bowler Hat" per il mercato britannico, "Pinafore Days" per quello nordamericano - è un suo prodotto, uno di quelli cui sono più affezionato. Pubblicato dalla MCA nel febbraio del 1974, rappresentò il picco della band a livello di vendite, raggiungendo un'inaspettata ventitreesima posizione nelle chart inglesi. Un disco di musica popolare innovativa e tradizionale al tempo stesso: alla base della scrittura di gran classe firmata da Andy Davis, George Martin aggiustò una palette di suono variopinto, evoluto, cinematico; il risultato si concretò in capolavori che in pochi, troppo pochi, hanno avuto la pazienza e la fortuna di sentire. Fundamentally Yours è un esempio, il migliore, di un album che merita d'essere riscoperto. Come tante altre perle oscure stipate nell'archivio di George Martin, che speriamo di elogiare su questo blog in un futuro non troppo lontano
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